Modi di vivere in Angoli

IL VILLAGGIO DI ANGOLI

[smartslider3 slider=17]

Costumi tradizionali calabresi.  2 vestiti da sposa.

Qui è illustrato il villaggio di Angoli e i modi di vivere, Frazione di Serrastretta, Provincia di Catanzaro, in Calabria. Questo è un Villaggio abitato da gente accogliente, disponibile e simpatica nell’aspetto e nei modi di fare.

La vita trascorsa qui, come in altre località calabresi, è stata piuttosto dura ma gli abitanti hanno saputo risollevarsi e trasformarsi per godere della vita reale conservando abitudini e tradizioni.

.

Nel passato le ricorrenze paesane erano dedicate ai Santi: Santa Filomena, Il Corpus Domini e naturalmente alla festa più importante che è quella dedicata al Santo Patrono del Villaggio e della comunità angolese: San Giuseppe.

Il Villaggio gode di una bellissima chiesa in stile a croce romana del 700, con due navate laterali e quella centrale. Il paese si è attivato per avere una banda musicale che nel tempo però si è sciolta e oggi rimane una Compagnia Teatrale che recita in Vernacolo del territorio di Angoli. Ogni primo del mese di novembre, con l’occasione della raccolta delle castagne, è organizzata la sagra della castagna giunta alla trentesima edizione.

Coltivazioni:

Angoli, guardando il suo panorama da Sud, è situato: su una collina del Monte Portella e alla sua sinistra (Nord Ovest), c’è il monte Santo Elia. Il particolare si coltivavano Le castagne, olive, grano, mais

e altri beni di consumo alimentari che erano, pomidori, melanzane, peperoni, cipolle patate, bietole, cetrioli, zucchine e poi tutte le altre verdure.

Le verdure importanti erano quelle selvatiche che si usavano per fare dei minestroni e anche bollite, poi c’erano le verdure per gli animali e i prati per fare la paglia.

Le castagne

Si presuppone che l’albero di castagno e le sue innumerevoli specie, sia nato da un ristagno d’acqua vicino al mare o di un seme trasportato non si sa da dove in Europa.

.

Nei mesi a partire da giugno ad agosto, I contadini andavano tra i monti per pulire gli alberi di castagno eseguendo delle potature e poi tagliare l’erbaccia, la lasciavano nel terreno ad asciugare e poi la bruciavano. Poi attendevano che gli alberi si riempissero di fiori. Dopo i fiori, nascevano i frutti (Ricci) piano piano iniziavano a crescere le castagne dentro i ricci.

.
.
.
.

Nel mese di ottobre, quando le castagne erano mature, i ricci si aprivano e poiché già si era in autunno, esse cadevano tra le foglie ingiallite. Le persone contadine, vi andavano e dopo avere tagliato un rametto a forma di forcella che lo usavano per spostare le foglie e i ricci, raccoglievano le castagne mettendole dentro sacchi di lino o canapa. Durante la raccolta per non lasciare delle castagne nell’interno del riccio si usava aprirli con le scarpe, o bloccarli per potere prendere le castagne.

Il frutto era usato come ballotte (cioè; scelte delle castagne chiamate lucenti si mettevano a bollire per mangiarne la polpa cotta), le castagne che non si sbucciavano, in dialetto, erano chiamate “curce”. In oltre un modo di apprezzare le castagne ancora oggi, è la trasformazione in caldarroste (Ruselle) Per completare la raccolta si spostavano foglie e ricci riunendoli a mucchio per poi bruciarle in modo tale che il prossimo anno non si avevano nel terreno.

.
.

I sacchi erano caricati sugli asini e trasportate nella (pastigliera = essiccatoio= Casella per le castagne), vicina per essere asciugate e poi lavorate.

La pastigliera, non era altro che una costruzione in pietra tra i castagni che serviva per non trasportare  in luoghi lontani le castagne e avere la possibilità di disperdere le bucce ridotte in polvere Chiamato: Purpito=buccia di castagna frantumata)  Le stesse pastigliere erano comprese in due piani, quello di sopra, aveva come solaio, delle doghe di legno sulle quali si spandevano le castane raccolte: nella parte di sotto, si creava una catasta di legno ed essi erano compattati con il pulpito poiché esso bruciando creava  fumo e calore e nello stesso tempo ritardava il consumo del legno spigionando calore graduale. Ogni giorno una persona si recava al controllo e si curava del fuoco (Attizzava).

Trascorsi circa quindici giorni, avveniva la (Zucculiata), giornata dedicata alla castagna. I proprietari delle castagne, si riunivano e eseguivano una capillare procedura; Una persona, si recava nel piano di sopra della pastigliera e da un foro apposito creato sulla parete (Calaturu= Qualcosa in discesa), faceva scendere le castagne, un poco per volta, e altre due persone le mettevano in un sacco, poi le sbattevano sopra un ceppo fino a quando le due bucce, interna ed esterna della castagna, non erano ridotte in polvere. A quel punto usciva la castagna pulita ed essa prende il nome di (castagna pilata), Qualcuna di essa che si era quasi cotta si metteva da parte e aveva un nome specifico (Turduni). Questi turduni venivano bucati con un’ago per cucire la lana e passarvi il filo dentro formando una collana che poi si appendeva per farla affumicare e mangiarla qualche mese più tardi.

Raccolta castagne
Castagne cadute
Castagne in parte raccolte
Sacchi con castagne
Sacchi con castagne b
Togliere la buccia alle castagne ” A’ Zucculiata”
Pastiglie “Castagne pilate”

Col passare degli anni nacque una macchina per sbucciare le castagne e cosi il lavoro umano diveniva più semplice e sbrigativo cioè: Le castagne che scendevano dal foro

(calaturu), finiva nella macchina che le sbucciava e il (pulpito) volava in aria tanto da costituire una nebbia che si depositava sulla pelle e gli abiti dei lavoratori.

La castagna pulita era usata per

mangiarla bollita e prendeva il nome

(Vecchiarella), oppure mangiata crusca ma solo per farla ammorbidire nella bocca e poi grattarla con i denti per gustarne il sapore dolce. (come se fosse una caramella).

Una parte delle pastiglie si dava da mangiare ai maiali e un’altra si macinava per farla diventare farina da utilizzare per il pane poiché c’era carenza di grano. Oggi la farina è utilizzata per fare dei prelibatissimi dolci.

Raccolta olive

La cura dell’albero di ulivo richiede una certa lavorazione ed inizia dal mese di novembre-gennaio con la potatura dell’albero e la concimazione, trascorso

.
.
.
.
.
.
.
.
.

qualche mese inizia la pulizia del terreno con la zappatura, poi si attende l’autunno quando; dopo la fioritura, inizia a far crescere il frutto,

l’oliva.

In autunno, partendo dal mese di novembre, subito dopo la raccolta delle castagne. Si puliscono i terreni dall’erba, nuovamente cresciuta e si procede alla raccolta delle olive.

Prima vanno raccolte le olive cadute per non sprecarle, poi inizia la raccolta delle altre. Nel passato si facevano diverse raccolte ogni volta che nella zona, c’era stato maltempo e vento. La raccolta avveniva anche sotto la pioggerella sottile. La raccolta avveniva periodicamente e seguitava fino ai primi giorni del mese di febbraio poi con delle verghe, si facevano cadere le olive rimaste per completare la raccolta.

Oggi ciò avviene con le reti e mezzi meccanici e le olive si scuotono (Dirramano) prima.

Le olive si raccolgono da terra una per volta e vengono vuotate in contenitori arieggiati, entro l’arco di due giorni vanno macinate altrimenti si guastano.

Nel passato esistevano i frantoi (Trappiti) sistemati in un casolare costruito ad oc: Al centro di un locale c’era una piattaforma in cemento con sopra due enormi pietre girate da due mucche attraverso un asse. Sotto le ruote si mettevano le olive da macinare e la polpa veniva inserita dentro delle ruote di seta chiamate (Nasse), e depositate in una pressa che, aveva nel suo interno, una grossa madre vite di legno e due ruote poste, una sopra le nasse e l’altra sotto. Degli uomini, azionavano una leva per stringere il torchio e pressare le nasse dalle quali scolava l’olio insieme ad acqua tiepida che serviva per separare l’olio da essa.

Olio e acqua, scorrevano in un canale che si divideva: da una parte l’acqua e dall’altra l’olio di oliva. La sua bontà dipendeva da moltissimi fattori che oggi si possono tenere in considerazione, ma allora era difficile per mancanza di cultura e mezzi. La nassa veniva svuotata da ciò che era rimasto e tate polpa si chiama (Sansa)

 

Coltivazione del grano

Anche se il territorio collinare di angoli non permetteva, gli uomini erano riusciti a creare e sfruttare dei terrazzamenti ed usarli per le coltivazioni del grano, mais, ceci, lupini, piselli, fave, fagioli e altro.

Mulino Fiumara dei mulini
.
.
.
.
.

Il contadino in autunno, zappava la terra nella quale piantava il grano e nella primavera inoltrata lo tagliava e messo a fasci veniva trasportato in uno spazio in cui poteva sostare la trebbia azionata da un trattore attraverso una cinghia.

Il giorno della trebbiatura bisognava usare degli occhiali poiché i frammenti taglienti delle lische potevano causare irritazioni agli occhi come già avveniva per la pelle.

La paglia della trebbiatura veniva imballata e data agli animali non ché posta sotto dei loro piedi per non avere freddo.

Il grano si portava nei mulini ad acqua per ottenere la farina per fare pane e dolci e la crusca per darla da mangiare agli animali soprattutto ingrassava i

maiali (fonte di sopravvivenza dei contadini).

 

Il mais prodotto che discende dal’America Centrale e dal Mexco:

.

era un altro prodotto importante per gli abitanti di Angoli. Esso si coltivava per poi utilizzarlo per fare le pop corn, da mangiare bollito con la stessa pannocchia e anche senza e darlo agli animali però con le foglie della pannocchia si riempivano i materassi dei letti.

Il baco da seta

Per un periodo intorno al 1946 ad Angoli si coltivava il baco da seta e poiché era troppo laborioso e occorreva tanto spazio e ancora di molto mangiare, tale attività fu abbandonata.